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FONDAZIONE BETANIA E QUELLA FERITA LUNGA 80 ANNI

FONDAZIONE Betania è parte integrante dell’identità di questa città, dove da quasi 80 anni trovano accoglienza e cura, fino agli anni ’70, solo donne, anziane, malate, portatrici d’handicap, poi anche uomini. Pochi/e sanno dello scippo e della cancellazione perpetrati alle origini da un monsignore a danno di una donna. Come sono andate le cose lo racconta Maria Procopio, psicologa e psicoterapeutica ex dipendente di Fondazione, nel suo recente libro “La prima operaia- Storia di una donna che ha creduto” edito Rubbettino. La donna si chiamava, è morta nel 2002, Maria Innocenza Macrina e il monsignore don Apa, parroco della chiesa della Maddalena. Lei, una consacrata laica di Gasperina, nel 1943 ebbe l’idea di aprire una casa per accogliere e assistere anziane del luogo, sole e ammalate, che insieme ad alcune amiche già assisteva a domicilio. Col sostegno del parroco don Nicola Paparo e del suo padre spirituale don Giovanni Capellupo, insieme ad un’altra donna, Maria Furciniti, aprì la prima Casa di Carità. Altre ragazze lasciano la famiglia per unirsi alle due donne. Non possiedono beni, vivono della carità del paese e dei paesi vicini, arrivano fino al latifondo di Crotone per fare la questua. Quando la Casa diventa piccola lei progetta la costruzione di un edificio nuovo, vicino alla chiesa di Termini. Tutto il paese prende parte alla sua costruzione con denaro e manodopera, anche gli immigrati con le loro rimesse. Accadde allora che a monsignore Apa, dopo aver visitato la nuova Casa, venne l’idea di aprirne una uguale a Catanzaro, dove già un gruppo di ragazze della nobiltà catanzarese faceva opera di carità a domicilio. Dopo la Liberazione, avuto a disposizione il locale a Fondachello, monsignore propone ad Innocenza di trasferirsi a Catanzaro con alcune consorelle per avviare la Casa, mantenendo la direzione anche di quella di Gasperina. Sono loro, divenute le Ancelle della Carità, che si fanno carico di tutto: delle ospiti, dei primi lavori di ristrutturazione dei locali, contribuendo con le loro riserve finanziarie, e delle attrezzature necessarie. Era il 26 luglio 1944, nasceva l’Opera Pia in Charitate Christi, divenuta poi Fondazione Betania. Quando nel 1947 si decide la costituzione di una Fondazione con atto notarile a sottoscriverlo sono la signorina Macrina, don Capeluppo, don Apa e don Paparo, ma quando nel 1950 don Apa decide di costituire una seconda Fondazione ecco lo scippo e la cancellazione, segno di ingratitudine e irriconoscenza verso la madre, la donna che aveva dato inizio a tutta la storia. Monsignore davanti al notaio ebbe l’ardire in mala fede di dichiararsi unico fondatore, non solo della Casa di Catanzaro ma anche di quella di Gasperina, oggi intitolata a don Paparo. Una ferita che la chiesa non ha ancora sanato e che denota la prepotenza di uomini di potere, nient’altro che uomini, che non sanno rapportarsi alle donne e contano sul silenzio della vittima, elevato a virtù femminile per evitare il conflitto. La signorina Macrina chiuse il suo dolore nel silenzio e nella preghiera, pur di continuare a seguire la sua vocazione. Rimase direttrice della struttura, don Apa divenne presidente e governò per anni con un Consiglio d’amministrazione da cui, fino alla fine dei suoi giorni terreni, lei fu da tutti tenuta fuori. Uno scacco a cui molte consorelle reagirono abbandonandola. Storia di una chiesa patriarcale destinata a finire, perché sempre più donne, come molte nel passato, non accettano più di restare in silenzio. Maria Procopio l’ha fatto, al posto suo, con il suo libro.

 

ARTICOLO DI FRANCA FORTUNATO PUBBLICATO SUL QUOTIDIANO DEL SUD IL 06.08.2020

 
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